Kiev, Ucraina
All’interno di un rifugio antiatomico, uno rottame a forma di bambina osserva i due visitatori.
L’uomo dal volto coperto di bende non incrocia il suo sguardo, concentrandosi sui danni.
La donna dai lunghi capelli corvini la osserva con occhi carichi di compassione, come se fosse sorpresa dal vederla ancora in funzione nonostante le siano state strappate braccia e gambe ed il suo cranio sia stato aperto a metà.
-Mio Dio... che cosa le hanno fatto? – chiede la donna.
-Mi hanno staccato le gambe quando ho provato a scappare. E le braccia quando mi sono ribellata.
Se non fosse per la pesante distorsione metallica, il robot avrebbe la voce di una bambina di cinque o sei anni. La paura nella sua voce sembra sincera.
-Chi farebbe una cosa del genere? – si domanda la donna.
-Life Model Decoy da infiltrazione. In situazioni d’emergenza, il desiderio istintivo di proteggere un bambino rende un adulto abbastanza incauto da lasciarsi ingannare più facilmente – spiega l’uomo bendato. Non sta evitando solo lo sguardo del robot, ma anche quello della donna.
-Intendevo chi farebbe del male a... aspetta. Se conosci la sua funzione...
-Sì. L’ho costruita io – ammette l’uomo.
BREAKING DOOM
Parte 6 di 6
#18 – Se
questo è il mio destino
Doomstadt, Latveria
Sono passati pochi anni da quando Kristoff Vernard è stato adottato dal Dottor Destino, ma sembra un’eternità. E non solo perché i suoi viaggi nel tempo hanno fatto sì che dimostri vent’anni quando secondo il calendario dovrebbe essere a malapena un adolescente.
Tra tutte le meraviglie e gli orrori che ha visto, poche cose lo hanno sorpreso più di quello che è ora davanti ai suoi occhi: metà del volto della sua sorella adottiva Morgana si sta sciogliendo, esponendo alla luce del sole lo scheletro metallico ed i cavi elettrici che sanguinano scintille.
-La mia faccia... che cosa hai fatto alla mia faccia!? – urla la ragazza.
-Sei un robot – realizza Kristoff, riattivando i sistemi d’arma.
Prima che possa fare fuoco, viene distratto dalla pioggia di raggi laser rilasciata dai droni difensivi che sono volati in soccorso dall’attuale reggente del trono.
Il campo di forza dell’armatura di Kristoff regge il colpo, anche se lo costringe a restare sulla difensiva. La battaglia è ad uno stallo apparentemente perfetto: gli androidi del Pensatore Pazzo sotto il suo comando stanno permettendo a Kristoff di respingere l’attacco.
Ne approfitta per un aggiornamento tattico, concentrando i suoi sensori su Morgana: nonostante le apparenze, continuano a registrarla come umana. Nemmeno le contromisure dei Doombot sono così perfette da ingannare la sua armatura. C’è solo una deduzione possibile.
-Ti ha costruita mio padre, non è così?
Morgana si rimette in piedi. Il suo volto deturpato fissa Kristoff, prima che la sua armatura assembli pezzo dopo pezzo un casco e soprattutto una maschera. La maschera di suo padre.
-Sono Morgana Von Doom. E questa terra è mia, traditore.
<<Attenzione. Soggetto ostile sta attivando i sistemi d’arma>> avverte l’armatura di Kristoff.
-Le nostre armature ed i nostri eserciti sono equivalenti, Morgana. Non puoi battermi.
<<Allarme.
Soggetto ostile sta sovraccaricando reattore nucleare. Potenza di fuoco al
714%>>
-Pagherai per avermi sfigurata, traditore! Anche se dovessi
ridurre questa nazione in cenere!
Kiev, Ucraina
L’uomo dal volto ricoperto di bende scollega il cavo che collega il cervello elettronico del robot alla porta seriale del Doombot nella stanza adiacente, e pur continuando ad evitare il suo sguardo si rivolge direttamente alla bambina artificiale.
-Da quanto tempo sei attiva?
-Non lo so, hanno disattivato il mio cronometro interno quando mi hanno collegata.
-Collegata a cosa? Al Doombot? – chiede la donna.
-Sì. Non sapevano come comandarlo, così hanno cercato di usare me. Ho provato a convincerlo a chiamarti, papà, ma non mi ha dato retta. E i cattivi si sono arrabbiati.
-“Papà” – ripete l’uomo.
-Sapevo che saresti venuto. E’ tutto nella testa del Doombot... Destino è buono e saggio e non può mai sbagliare. Forse se avessi creduto abbastanza che saresti venuto salvarmi non ti saresti arrabbiato con me. Avresti punito i cattivi e mi avresti riparata e saremmo tornati a casa assieme.
-Non sono arrabbiato con te – risponde l’uomo; quando i suoi occhi incrociano quelli del robot, la bambina abbassa lo sguardo.
-Non sono stata abbastanza forte. Non sono stata abbastanza intelligente. Ma ho capito una cosa quando mi sono svegliata per la prima volta: io sono la figlia di Destino. E nessuno può mettersi sulla mia strada.
Doomstadt, Latveria
Kristoff alza al massimo gli scudi, prima che Morgana faccia fuoco. Anche così, la sua potenza è devastante: il corpo di Kristoff viene sbalzato via come una foglia in un uragano, passando attraverso tre abitazioni prima di colpire le fondamenta di una quarta.
La casa gli crolla sulla testa; per fortuna alla popolazione è stato ordinato di trovare riparo nei bunker sotterranei, altrimenti l’ego di Kristoff non sarebbe stato l’unica vittima.
-Rapporto danni – ordina all’armatura.
<<Integrità
molecolare intatta. Scudi al 67%>>
-Dopo un solo colpo!? Non è possibile! Nemmeno la Cosa avrebbe fatto così tanti danni!
<<Soggetto
ostile utilizza colpi iperfasici sulla stessa
frequenza del campo di forza personale>>
-Ma certo, conosce la mia armatura bene quanto io conosco la sua. Bene, in due possono giocare a questo gioco: sovraccaricare reattore nucleare per aumentare la potenza di fuoco.
Kristoff esce dalle macerie scrollandosi di dosso una pila di mattoni. Morgana è pronta ad aspettarlo, con i pugni brillanti di energia, in piedi su una pila fumante di androidi in mille pezzi.
-Il tuo esercito era molto scadente, traditore. Almeno tu mi darai la soddisfazione di una vera battaglia, o ti ridurrai a sfruttare il genio di mio padre come il parassita che sei?
<<Sovraccarico
completo. Attenzione: rischio di fusione della batteria atomica>>
-Se è una battaglia che vuoi, sarai accontentata – risponde Kristoff, rispondendo al fuoco.
Kiev, Ucraina
Yury Nazarovych Domashev si ritiene un uomo baciato dalla fortuna. Non solo si è ritrovato tra le mani un Doombot, non solo il suo stupido fratello è riuscito ad estrarre da quel cervello elettronico informazioni che valgono miliardi, ma ora ha anche un amnesico Dottor Destino a lavorare per lui.
Mentre festeggia la sua ultima acquisizione assieme ad un paio di prostitute, fantastica sulla possibilità di diventare il boss della malavita di tutta l’Europa. Forse anche oltre.
Il suono di urla e proiettili lo riporta alla realtà. Spinge da parte una delle prostitute, si tira su i pantaloni e spalanca la porta:
-Si può sapere cosa cazzo sta succedendo!? – urla ad uno dei suoi luogotenenti.
-Siamo sotto attacco!
-E’ una retata? – chiede Yury.
-No, sono soltanto in due! Un tizio armato di pistola ed una donna... l’ho vista lanciare lame di energia! Non so come ci abbiano trovato!
-Oh io lo so. Quel bastardo è meno stupido di quanto sembra – aggiunge Yury, prima di recuperare dalla stanza una pistola e di correre via assieme al proprio sottoposto.
Le due prostitute non sono abbastanza drogate da non reagire; recuperano i propri vestiti e si affrettano ad uscire, ma sono bloccate da una ragazzina bionda ferma sulla porta.
-Un secondo, signore. Non vi state dimenticando di chiamare la polizia? – chiede Layla Miller.
La situazione è precipitata rapidamente. Alan Quartermain deve ancora riprendersi completamente dal teletrasporto intercontinentale a cui l’ha sottoposto Lancer. Gli piacerebbe chiederle come mai non gli aveva rivelato di poter accedere così facilmente alla rete di teletrasporto di Destino, ma considerato che al momento lei è la sua principale speranza per poter uscire vivo dal fuoco incrociato di almeno due dozzine di gangster preferisce non distrarla.
-Siamo vicini. Rilevo la presenza di un Doombot – rivela Lancer, scagliando una lancia di plasma incandescente che trapassa il petto del bersaglio come se fosse di burro fuso.
-Vorrei sapere chi ha mandato il segnale. Destino ha degli uomini qui? – chiede Quartermain, alzando la voce per coprire il frastuono del fuoco di copertura. Non che Lancer ne abbia bisogno, considerando quello che l’ha vista fare, ma almeno così non si sente inutile.
-Non che io sappia. Destino non mi dice molto delle sue operazioni.
-Forse qualcuno di questi balordi può dirci qualcosa.
-Improbabile, ma sono fastidiosi. Copriti le orecchie – avverte Lancer, prima di sollevare una mano.
Il palmo della sua mano si apre, rivelando la presenza di uno dei suoi innumerevoli impianti cibernetici; c’è un acutissimo sibilo, abbastanza forte da trapanare il cervello di Quartermain, ma dura pochi secondi. Quando Lancer abbassa la mano, tutti gli ucraini sono a terra con gocce di sangue che scendono dalle orecchie.
-Vivranno – rassicura Lancer, anche se Quartermain la sente a malapena. Poi la donna si guarda attorno, gli occhi brillanti di luce verde, prima che indichi un punto in particolare.
-Ecco. Il segnale proviene da lì – rivela, indicando l’ingresso di un bunker nucleare.
Nel bunker nucleare
L’uomo e la donna si sono allontanati dalla bambina robot, con il pretesto di verificare le condizioni del Doombot. Ma la donna inizia subito a parlare sottovoce:
-Puoi farlo? Puoi ripararla?
-Non nel mio stato attuale, ci sono troppe cose che non ricordo. E’ ridotta male, le modifiche al suo software sono state troppo dozzinali.
-Ci credo, pensa di essere tua figlia!
-Sì. Lo crede con tutto il suo cuore – risponde l’uomo, lo sguardo perso nel nulla.
-Non la stai prendendo sul serio, vero? E’ un robot!
-L’ho costruita con le mie stesse mani. Ho scritto le sue subroutine di emulazione caratteriale ed apprendimento sociale. Ed è diventata senziente perché si è interfacciata con gli impianti di memoria di un Doombot... il suo corpo e la sua mente derivano da me, come Atena dal cranio di Zeus. Solamente più giovane.
-Non riesco a credere che stiamo avendo questa conversazione...
-La sua forza di volontà è così grande da aver guidato la mia anima nella reincarnazione forzata dopo la cancellazione temporale. Da averci fatto rincontrare in un’altra vita.
-E da farci ammazzare se non ce ne andiamo! Come pensi reagirà Yury quando gli dirai che non puoi far funzionare il Doombot e non puoi riparare la bambina?
-Esiste un modo. Gli impianti di memoria sono normalmente criptati, ma l’interfaccia forzata ha esposto i circuiti telepatici. Posso riattivarli e recuperare tutto ciò che ho perso.
-Allora fallo. Non è quello che vuoi?
L’uomo dal volto bendato si guarda attorno, come se cercasse di trovare una qualsiasi via d’uscita da questa conversazione. Afferra la donna per la mano e si allontana, portandola nel lato opposto del bunker per potersi nascondere completamente dalla bambina robot.
-E se ci fosse un altro modo?
-Che cosa vuoi dire?
-Posso sovraccaricare il generatore del robot per creare un’arma non-letale che renderebbe privo di sensi chiunque si trovasse entro un raggio di un chilometro; il Doombot può schermarci.
-E che ne sarebbe di... insomma...
-Cancellazione totale del software. Saremo già in un’altra nazione quando riprenderanno i sensi.
-Ma che stai dicendo? Dove vorresti andare? Non penserai davvero che ci sia un futuro per...
-Ti amo ancora. Non importa quante vite sono passate, Valeria, ti amo ancora.
-Anche per me era un’altra vita. Non sono più la donna che amavi.
-Ma io potrei essere ancora l’uomo di cui ti sei innamorata. Questa potrebbe l’ultima possibilità di scegliere veramente il mio destino... e voglio conoscere la tua decisione, Valeria.
Valeria non sa cosa pensare. Ha passato così tanto tempo a fuggire dall’uomo di cui si è innamorata, a cercare di crearsi una vita lontana da tutta quella follia... era sicura che non ci fosse più nulla di Victor nel Dottor Destino, che quel mostro avesse completamente soppiantato l’uomo gentile che l’aveva amata. Non avrebbe mai pensato che il destino le avrebbe dato una seconda opportunità.
L’uomo si toglie le bende dal volto, esponendo le proprie ustioni che farebbero reagire qualsiasi altra donna con disgusto. Invece Valeria lo osserva piena di speranza mentre l’uomo rimuove la maschera dal Doombot, e si avvicina a lei per consegnarla nelle sue mani.
-La scelta spetta a te, Valeria. Dimmi chi sono.
La donna dai capelli corvini fissa la maschera, il volto metallico del demonio che ha ossessionato i suoi incubi per troppo tempo. Ed alza lo sguardo verso l’uomo che ama, carica di speranza.
-Victor...io...
Lo schizzo di sangue ricopre il volto dell’uomo senza nome, mentre Valeria cade tra le sue braccia stringendo la maschera tra le proprie mani.
-Ti avevo detto di non fare niente di stupido. Te la sei cercata – commenta Yury Domashev, soffiando sulla pistola ancora fumante.
L’uomo senza nome non pensa a lui, però. Pensa a Valeria, alla luce nei suoi occhi che sta svanendo rapidamente, mentre si accascia al suolo.
Lui crede di sapere tutto, ma non sa cosa dire: le parole si congelano nella sua gola. Cerca di controllare la ferita di Valeria, ma in un ultimo sforzo lei allunga le braccia per fissare la maschera sulla faccia dell’uomo che ama.
-Ricorda... tu... sei Victor Von Doom...
Lei esala l’ultimo respiro, lui emette un grido di dolore mentre nella sua mente si chiude un cerchio.
Ricorda.
Madre retaggio barone padre zingaro scuola Richards esplosione fallimento odio Tibet maschera regno Richards conquista potere trionfo tormento Richards tempo volontà rinascita. Destino.
Ricorda.
La mano di Yury trema. A questa distanza non può certo mancare il bersaglio, ma c’è qualcosa in quel grido... qualcosa che lo riempie di terrore, a tal punto che quando il suo bersaglio si alza in piedi Yury fa un passo indietro invece di sparare.
-Io.
Non è la stessa voce di prima. La maschera ha un leggero effetto di distorsione elettronica, ma non abbastanza da spiegare perché Yury sia pietrificato dalla paura.
-Sono.
L’uomo si volta per poterlo guardare negli occhi. Yury si considera un uomo spietato: ha ucciso senza il benché minimo rimorso, anzi vantandosene ad ogni occasione. La sua anima è marcia.
Ma quelli sono gli occhi di chi può far indietreggiare il diavolo.
-DESTINO.
Poche persone hanno scoperto cos’è il terrore puro. Yury Nazarovych Domashev è tra di loro.
Layla Miller sa molte cose, e sa anche che farebbe meglio ad andarsene. Purtroppo ha sia la sfortunata abitudine a restare fino a quando è arrivata in fondo alla verità, che la ben più pericolosa caratteristica di cacciarsi nei guai ad ogni occasione.
-Lancer! Aspetta! – grida per attirare l’attenzione dell’araldo di Destino, agitando le braccia per farsi notare. Lancer distoglie lo sguardo dal bunker antiatomico, per avvicinarsi alla ragazza.
-E tu chi saresti? Come sai il mio nome?
-Layla Miller. So molte cose, anche se non mi piace vantarmene spesso.
-Sei stata tu a chiamarmi. Cosa hai a che fare con Destino? – chiede l’agente Quartermain.
-Diciamo soltanto che ha qualcosa che mi-
Layla non termina la frase. O meglio, lo fa, ma il suono è completamente annebbiato da quello dell’immane esplosione che proviene dal bunker.
Può essere stato progettato per resistere ad una guerra nucleare, ma qualunque cosa si sia scatenato al suo interno lo ha praticamente incenerito.
La colonna di fiamme si estende per chissà quanti metri, e non ci vuole molto prima che l’intero complesso sia coinvolto da un incendio.
-Dobbiamo andarcene di qui! – sollecita Quartermain, ma né Lancer né Layla si muovono.
C’è qualcosa tra le fiamme. Una figura avvolta da un mantello che si avvicina lentamente, ergendosi fiera come se fosse lei a comandare questo inferno.
Quartermain punta la pistola per puro istinto, ma Lancer lo ferma subito.
-Non essere ridicolo. E’ finita.
Il Dottor Destino emerge dalle fiamme, incurante del dilagarsi dell’incendio, e si dirige verso le tre persone che lo stanno aspettando.
-Lancer. Hai qualcosa che appartiene a me – sono le sue prime parole.
-Qualcosa che... Stai scherzando, vero!? Dopo tutto quello che è successo, dopo tutto quello che ho passato, è la prima cosa che vuoi dirmi!? – protesta Lancer.
-Ridammelo – ordina Destino.
Lancer esita. C’è solo una cosa a cui può riferirsi: la registrazione degli eventi futuri che ha ottenuto durante il suo viaggio nel tempo. Aveva ordini espliciti di non consegnarlo a Destino... un ordine ricevuto da Destino stesso, quindici anni nel futuro. Qualsiasi altro giorno, non obbedirebbe.
Ma c’è qualcosa, negli occhi di Destino, che non aveva mai visto. Qualcosa che rende chiaro all’istante un fatto indiscutibile: disubbidire è inconcepibile.
-Eccolo. Non ti chiederò neanche come facevi a sapere della sua esistenza – risponde Lancer, consegnando a Destino il piccolissimo cubo di metallo.
-Ma insomma, si può sapere che cosa sta succedendo!? – protesta Clay Quartermain.
-Il destino, agente Quartermain. Solamente il destino – risponde l’uomo in armatura, il cui sguardo è perso ben oltre l’orizzonte.
-Mi spiace rovinare il finale, ma se non ce ne andiamo subito bruceremo vivi – nota Layla.
-Questo è solo l’inizio, signorina Miller. Agente Quartermain, ha la gratitudine di Destino per aver giocato un ruolo, seppure minore, nei suoi piani. In riconoscenza, ha cinque minuti per lasciare questo complesso prima che sia cancellato dalle mappe.
Detto questo, il Dottor Destino preme un pulsante nascosto nel guanto dell’armatura. Il suo corpo è avvolto da un lampo di energia verde, assieme a Lancer e Layla Miller, e tutti svaniscono.
Lasciandosi dietro un dispositivo non più grande di una sveglia, che indica cinque minuti.
Non ci vuole molto perché Clay Quartermain si metta a correre.
Cinque minuti dopo, un’esplosione ridurrà in cenere l’intero complesso di magazzini industriali e Clay Quartermain se uscirà con un immenso mal di testa e milioni di domande.
Doomstadt, Latveria
Le strade della capitale sono ormai un campo di battaglia vero e proprio, e come tale ne portano tutti i segni distintivi: case rase al suolo, crateri, allarmi che suonano.
L’armatura di Kristoff è danneggiata: è possibile vedere i circuiti esposti dalle bruciature al plasma.
<<Integrità
molecolare compromessa. Scudi al 2%. Sistemi difensivi prossimi al fallimento
totale.>>
-C’è ancora tempo. Rapporto tattico?
Morgana emerge dalle tonnellate di terreno sotto cui l’aveva sepolta Kristoff; anche lei ha subito danni gravissimi, e dalla sua schiena fuoriescono bolle di energia.
<<Soggetto
ostile ha subito gravi danni. Batteria atomica instabile, rischio deflagrazione
nucleare al 99%. Si consiglia di abbandonare il campo di battaglia>>
-Destino non batte in ritirata! Concentrare tutta l’energia nei sistemi offensivi!
<<Impossibile
eseguire. La probabilità di una doppia deflagrazione eccede i parametri di
sicurezza>>
L’armatura di Morgana diventa sempre più brillante. La ragazza si toglie il casco e lo getta con forza a terra: nei suoi occhi, uno dei quali è sopra uno zigomo fatto di cavi, c’è solo rabbia.
-Accetto la tua sfida, fratello. Vediamo chi di noi è degno di essere Destino.
-Disattivare tutti i protocolli di sicurezza! Non lascerò che questa pazza resti sul mio trono!!!
<<Protocolli
disattivati. Generatori atomici al massimo. 30 secondi di autonomia prima
dell’esplosione>>
Kristoff e Morgana caricano uno verso l’altra, pronti a scagliarsi addosso abbastanza potenza di fuoco da far morire d’invidia diverse piccole nazioni.
Una colonna di luce verde appare di fronte ai due fratelli, e le loro armature perdono istantaneamente tutta la propria energia. Cadono a terra, ma entrambi si rifiutano di cedere a quest’ultima sfida e sono pronti a rialzarsi con le proprie forze... fino a quando non lo vedono.
-Ora basta, bambini.
Il Dottor Destino incrocia le braccia, guardandoli dall’alto al basso. Poi si guarda attorno, studiando la devastazione scatenata sulla sua nazione.
-Mai più a Latveria. Non ho intenzione di ripetermi.
-Sì, padre – rispondono sia Morgana che Kristoff, abbassando lo sguardo.
-Che questa guerra insensata per il controllo cessi: siete entrambi miei figli, in egual modo, ed entrambi vi sottoporrete alle mie decisioni senza discutere.
-Ma, padre, è stato Kristoff a... – inizia a protestare Morgana, fermandosi a metà frase.
-Senza. Discutere.
-Sì, padre.
-Kristoff, sei stato tu ad attaccare Latveria, quindi sarai tu a riparare a tutti i danni: quando il sole sorgerà di nuovo, Latveria dovrà essere perfetta come lo è sempre stata. Morgana...
Destino si avvicina alla figlia, il cui volto è stato brutalmente danneggiato e che sta ancora perdendo scintille. Il guanto metallico di Destino ne accarezza la guancia umana, per poi saldare un circuito sulla guancia sinistra.
-Andiamo a ripararti. E’ importante che una principessa sembri tale.
Castello Destino
Il Primo Ministro Lucia Von Bardas è una donna pragmatica. Ha sempre cercato di trovare dei risvolti positivi in ogni evenienza imprevista, ma quando sente gli inconfondibili passi di un’armatura metallica su un pavimento di pietra è pronta a darsi al panico. In cuor suo sapeva che Destino sarebbe tornato, ma pensava di avere abbastanza tempo per poter volgere la situazione a proprio vantaggio. Ora, quando Destino apre le porte della sala del trono, non sa cosa fare.
-Lord Destino... posso spiegare...
-Von Bardas. Questi sono i miei nuovi consiglieri: desidero che le loro credenziali di sicurezza siano adeguatamente aggiornate – dice Destino, indicando le tre persone alle sue spalle.
Lucia riconosce il Pensatore Pazzo e Maximus degli Inumani, rispettivamente ex alleati di Kristoff e Morgana... ma resta sorpresa dal vedere che la terza è Layla Miller.
Avrebbe molte domande da fare. Per sua fortuna, è abbastanza intelligente da non farne nessuna.
-Io... certamente, Lord Destino.
-Sii pronta, Von Bardas. C’è molto da fare – annuncia Destino, prima di svanire.
Questa volta non è teletrasporto, ma qualcosa di più familiare. Una piattaforma temporale.
Tre anni fa, New York City
La campanella della scuola sta ancora suonando; decine di bambini si allontanano schiamazzando, felici di potersene tornare a casa. In coda a molti di loro c’è una dodicenne bionda, le mani in tasca e lo sguardo diretto a terra, che procede a piccoli passi.
-Signorina Miller – la chiama una voce distorta elettronicamente.
La ragazzina si volta e si lascia andare ad un urlo di sorpresa: c’è un uomo in armatura alle sue spalle, avvolto da un mantello. Si guarda attorno: diversi adulti la stanno guardando, ma sembrano non reagire minimamente alla presenza del Dottor Destino.
-Sono impazzita? – è la prima domanda di Layla.
-Al contrario, signorina Miller. Sta per diventare una delle poche persone sane di mente di questo mondo, o di molti mondi per essere precisi.
-Parlare con qualcuno che non c’è non mi sembra un buon inizio. Chi sei?
-Per quanta poca fiducia io abbia nel sistema scolastico americano, credo che tu lo sappia.
-E’ perché sono una mutante, vero? Hai scoperto dei miei poteri?
-I tuoi poteri sono irrilevanti. Come lo è la tragedia che ha colpito la tua famiglia, lasciandosi sola in un mondo che non capisci. Nulla ha importanza per te, ora, tranne una cosa.
Destino apre la mano, porgendo a Layla un oggetto: un piccolo cubo metallico.
-Il destino.
La ragazzina prende il piccolo oggetto tra le dita, studiandolo come se non fosse del tutto certa che questo non sia solo un sogno. Il Dottor Destino la osserva mentre la sua piccola, giovane mente assorbe una conoscenza che trascende il tempo e le dimensioni.
Quando Layla Miller ritrae la mano, i suoi occhi sono cambiati: l’innocenza ha lasciato il posto al peso della conoscenza.
-Era ora. Salutami tua figlia quando la vedi, Doc... ricordale che mi dovrà un favore.
Oltre il tempo
Le dita si avvinano al riflesso sullo specchio. Tutto è perfetto: le articolazioni, le unghie, la pelle, gli occhi. Assolutamente indistinguibili da una diciottenne.
-Sono bellissima – dice la ragazza, ma non c’è vanità nelle sue parole: è pura ammirazione per il lavoro di un artista. Il Dottor Destino è dietro di lei, con una mano sulla sua spalla.
-La figlia di Destino deve essere perfetta. Non dimenticarlo.
-Mai, padre. Mai.
-Non è troppo tardi per cambiare idea: posso costruirti un corpo più giovane. Darti la possibilità di vivere un’infanzia che a me è stata strappata troppo presto.
-Se me lo ordini, padre, sarò qualunque cosa desideri. Ma non devo essere indifesa e non devo essere debole. Mai più.
Padre e figlia si allontanano dallo specchio per osservare i robot che stanno alacremente procedendo con la costruzione del Castello Temporale, mentre le nebbie del Limbo si agitano in lontananza.
-Morgana – dice finalmente Destino.
-Padre?
-Una principessa dal cuore carico di passione, esiliata in un castello al di fuori del tempo. Un nome adatto per la figlia di Destino. Il tuo nome.
-“Morgana Von Doom”. Devo restare in esilio, per usare questo nome?
-Fino a quando non sarà il momento di tornare. Il mio presente è il tuo futuro, ed il tuo futuro è la mia eredità. Non dimenticarlo, Morgana.
-Mai, padre. Mai.
-E la tua educazione, figlia mia, inizia qui – prosegue il Dottor Destino, prendendo per mano la giovane androide e conducendola verso una delle già numerose stanze del Castello Temporale.
Una delle prime ad essere stata costruita. C’è un singolo occupante.
Yury Nazarovych Domashev giace su un tavolo operatorio.
Le braccia e le gambe sono state amputate. La pelle è ricoperta delle peggiori ustioni possibili. Dovrebbe essere morto, ed infatti per lui questo è l’inferno. Due figure si avvicinano, entrambe in armatura. La ragazza sorride come se avesse appena trovato un regalo sotto l’albero di Natale.
Yury vorrebbe urlare, ma gli sono state asportate le corde vocali.
-Tornerò tra qualche giorno, Morgana. Nel frattempo, voglio che studi con molta attenzione cosa accade a chi osa mettersi sulla strada di Destino.
-Con estremo piacere, padre. Con estremo piacere.
Il Dottor Destino esce dalla stanza, lasciando Yury in compagnia della nuova forma della robot che ha torturato per troppo tempo. Il suo volto sorridente sarà l’unica cosa che vedrà prima di morire.
Laboratorio del
Dottor Destino
Il Dottor Destino si adagia su una sedia ultratecnologica, lasciandosi versare da un robot del vino in una coppa d’oro. Di fronte a lui ci sono numerosi schermi, che inquadrano tutti i giocatori.
Lancer. Layla Miller. Il Pensatore. Maximus. Von Bardas. Pedine cruciali.
Due schermi attirano la sua attenzione più degli altri. Kristoff è nelle sue stanze, intento ad osservare una foto della propria madre. Morgana invece è in uno dei laboratori secondari, intenta a riparare i danni subiti in battaglia. Destino sospira. I suoi figli non potrebbero essere più diversi.
Maschio e femmina. Umano e artificiale. Eroico e sadica. Compassionevole e spietata. Cresciuto come un bambino normale, nata adulta per essere l’erede perfetta.
-Chi lo avrebbe mai detto, Valeria, che sarei diventato un uomo di famiglia?
Destino sorseggia il proprio vino, prima di ruotare di 180 gradi la sedia. Fissa la donna che sta fluttuando all’interno di un tubo trasparente, dove uno sciame di robot più piccoli di un granello di sabbia sta lentamente riparando i danni ai tessuti.
-Grazie a te sono rinato, Valeria. E’ solo questione di tempo prima che faccia rinascere anche te; ed un giorno regneremo assieme su questo mondo e su molti altri. In fondo, è soltanto... destino.
CONTINUA !!!